Come dice il detto? “Meglio tardi che mai?” Questo saggio enunciato mi è venuto alla mente leggendo nel numero di aprile della rivista ufficiale dell’ENCI, l’articolo sul problema della consanguineità. Finalmente, mi sono detto, viene messo nero su bianco quanto il mondo scientifico ha dimostrato da decenni, quanto noi come WGI Project e pochi altri da anni stanno cercando di trasmettere al mondo degli allevatori al fine di sensibilizzarli su questo cruciale tema. Devo dire che i riferimenti bibliografici sono davvero importanti e precisi, citando studi risalenti anche agli ottanta fino a risalire a Darwin, che per primo osservò con occhio scientifico la depressione da inbreeding. Viene la pelle d’oca sinceramente a pensare che problema di consanguineità e depressione da inbreeding per la maggior parte degli allevatori del settore cinofilo sono leggende metropolitane, complotti del mondo scientifico contro i cani di razza, problemi altamente trascurabili rispetto all’ottenimento di soggetti omogenei e vincenti alle esposizioni di bellezza, o alle prove di lavoro.
Potrà questo articolo risvegliare qualche anima coscienziosa? Lo spero davvero. Potrà forse segnare una svolta reale nell’approccio a questo tema? Su questo ho davvero molti dubbi purtroppo. Se l’esposizione delle problematiche è davvero puntuale e ineccepibile, il panorama di soluzioni offerte non promette nessun reale approccio al tema, e questo lo trovo davvero imbarazzante.
In esordio dell’articolo si pone l’accento sulla frammentazione dell’allevamento cinofilo e ci si riferisce ad una sorta di impossibilità di coordinarlo come andrebbe fatto in chiave zootecnica, come avviene in altre specie. Questa visione è smentita non solo dal nostro esempio come WGI Project, ma dal fatto che anche nelle altre specie gli approcci scientifici hanno fatto il loro ingresso in ambienti frammentati e privi di strutturazioni. Le condizioni per applicare scienza e zootecnia sono state create appositamente, non sussistevano da sole. Pertanto, è a mio avviso e di molti addetti del settore zootecnico, una questione prettamente di mancanza di volontà di rivoluzionare e ristrutturare il sistema cinofilo in chiave zootecnica, al fine di tutelare il cane, piuttosto che una oggettiva impossibilità di applicare la zootecnia al cane. Tutelarlo da continuare con un sistema scellerato di intendere la selezione che appunto ignora il problema della consanguineità e della riduzione dei pool genetici in favore di convinzioni triviali e folkloristiche radicate da decenni e che imperano tutt’oggi. Oltretutto non è necessario tutto quello sforzo economico e di ricerca che ha prodotto la rivoluzione zootecnica a partire dagli anni 70’, in quanto è tutto trasferibile (la genetica dei mammiferi è praticamente sovrapponibile), con minimi aggiustamenti, e appunto WGI Project ne è un esempio concreto. Continuare ad affermare che le scienze zootecniche propriamente dette non si possono applicare al benessere e alla tutela genetica dei cani è solo arrendevolezza ad un sistema che fa troppo comodo a molti evidentemente.
In un altro passaggio dell’articolo si dice giustamente che l’allevatore dovrebbe sempre stimare il livello di consanguineità atteso da un accoppiamento. Certo, un fondamento basilare e imprescindibile se si vuole allevare coscienziosamente. Ma come dovrebbe fare l’allevatore medio del settore cinofilo a stimare in modo attendibile la consanguineità di un accoppiamento? Visto la precisione dell’esposizione dell’articolo inutile stare qui a spiegare come si ottengono valori attendibili (lo abbiamo fatto innumerevoli volte e c’è ampia letteratura scientifica al riguardo), quindi, passiamo subito a constatare che il 99% degli allevatori cinofili non ha strumenti idonei ad una stima attendibile della consanguineità attesa di un ipotetico accoppiamento. Chi dovrebbe fornire questi strumenti secondo voi?
In zootecnia sono stati primariamente forniti a livello istituzionale, ma al giorno d’oggi c’è una variegata costellazione di società private che offrono questi servizi. La materia prima per queste stime sappiamo bene, lo diciamo fino a nausearci noi stessi da anni, sono informazioni genealogiche accurate e profonde (come generazioni). Dove si trovano queste informazioni? Nei libri genealogici, parimenti come in zootecnia. Che sforzo economico serve per utilizzare le informazioni genealogiche di modo da fornire agli allevatori questi strumenti? Certamente non trascurabili ma nulla di impossibile, e WGI Project anche in questo caso è un esempio concreto.
Quindi rinnovo la domanda a me stesso, quando si scrive che l’allevatore dovrebbe stimare la consanguineità attesa, a cosa ci si riferirà nel concreto? Al confronto di due pedigree di cinque generazioni facendo il calcolo del coefficiente di Wright con carta e penna? Rilevare che ci sono pochi antenati in comune ignorando tutto quello che c’è dietro? Come se l’omozigosi prodotta nelle generazioni precedenti (e soprattutto nei bottleneck e altri eventi formativi delle razze) sparisca come magia se non la possiamo vedere nei pedigree cartacei o parimenti nei tool che calcolano fino a 5-10 generazioni?
Forse stimare la consanguineità si riduce ad evitare gli accoppiamenti tra parenti stretti come da recente modifica delle norme tecniche? Tornando sul fatto, del tutto esplicativo a mio avviso, che di accoppiamenti con la stessa omozigosi attesa se ne è vietato uno e lasciati fruibili due, nelle razze canine che hanno livelli di consanguineità stimati da diversi studi genomici tra 15 e 40% e oltre, viene da se che la gestione richiede stime estremamente più raffinate e precise, che non il semplice vietare classi di accoppiamento stretto che sono comunque minoritari e il cui venir meno non frena in maniera sostanziale l’aumento della consanguineità media delle popolazioni come abbiamo ben potuto dimostrare dati alla mano per il Cane Lupo Cecoslovacco di cui ci occupiamo. E soprattutto non evita la riduzione della variabilità genetica che è primariamente connessa alla selezione.
Quindi veniamo al punto finale, la genomica poc’anzi citata. Nel finale dell’articolo troviamo un elenco di suggerimenti che sono certamente ineccepibili in via generale ma insufficienti allo scopo, appunto perché manca la possibilità di stimare adeguatamente la consanguineità degli accoppiamenti, quindi, di fatto non viene offerta nessuna soluzione al problema.
Si fa riferimento a un verosimile futuro in cui le tecniche di genetica molecolare e selezione genomica potranno dare maggiori risposte al problema. Leggendo questo ultimo paragrafo provo davvero una spiacevole sensazione, come se ci fosse la consapevolezza di scrivere a persone che non conoscono il tema. Premettendo che per applicare la selezione genomica serve una strutturazione zootecnica del settore, e, se ritorno a inizio dell’articolo, questa viene giudicata impercorribile, sono davvero perplesso.
Il tema della genomica un po’ lo conosco. La genomica, questa tecnica che si avvale della valutazione dei polimorfismi di migliaia di siti del DNA contemporaneamente per ciascun animale, è stata una rivoluzione poco più di dieci anni fa. Fatalità mi trovavo verso la fine del 2011 presso il laboratorio LGS di Cremona quando era in fase di installazione il primo sequenziatore adatto per questa nuova tecnologia, applicata al campo zootecnico. Non ne avevo mai sentito parlare, e l’allora direttore, Dr. Raffaele Mazza, me ne spiego in maniera semplice i fondamenti, affascinandomi completamente per le sue potenzialità. Mi trovavo li per un progetto di profilazione genetica, con i classici microsatelliti, per conto del Club di Razza. E già da allora, ribadisco fine 2011, mi diede la possibilità di usare fin da subito la genomica, questa nuova tecnologia, che in fattispecie è il CanineHD Bead Chip Ilumina, da 170.00 marcatori. La stessa tecnologia che è stata utilizzata poi nello studio genomico del Cane Lupo Cecoslovacco del 2018 grazie al quale abbiamo potuto validare i livelli di consanguineità che calcoliamo nel nostro database con U-WGI software, sviluppato con Dipartimento di Biomedicina dell’Università di Padova. È la stessa tecnologia che sta alla base dei panel commerciali ormai noti che forniscono centinaia di test simultaneamente. Con questa tecnologia si può ottenere una stima di consanguineità con diversi metodi, con la semplice conta percentuale dei loci omozigoti, o con metodi più raffinati, come la valutazione delle F-ROH (Runs of homozygosity) come eseguito dai genetisti ISPRA nello studio genomico sul CLC.
Fornire uno strumento utilizzabile da tutti basato sulla genomica è attuabile oggi? Si, come lo era già dieci anni fa. Il chip, a parte qualche aggiornamento di mappa, è lo stesso identico di allora. Cosa comporta fornire uno strumento così a tutti? Profilare tutta una popolazione, semplice. Potrà sembrare impresa titanica ma è assolutamente fattibile. Sempre nella mia visita in LGS del 2011 si stava studiando l’applicazione per la provincia autonoma di Bolzano della profilazione genomica di tutta la popolazione canina. Oggi sappiamo bene che quel progetto è diventato una realtà oggettiva, applicata per gli scopi di anagrafe, ma la tecnologia è la stessa che permetterebbe di calcolare la consanguineità degli animali e degli ipotetici accoppiamenti.
Sicuramente avrà costi esorbitanti si potrà pensare. Decisamente no, il costo dei Chip acquistato e lavorato presso case genetiche zootecniche (non laboratori commerciali) si aggirava qualche anno fa, secondo preventivo che mi era stato fatto, sui 30-40 euro a cane per acquisto di un centinaio di chip alla volta. Immaginate se questo dovesse essere istituzionalizzato su tutta la popolazione, i prezzi sarebbero ancora inferiori, decisamente inferiori a quanto, ad esempio, spendiamo già oggi noi allevatori di CLC per la parentela obbligatoria dei cuccioli. Il costo potrebbe essere tranquillamente sostenuto dagli allevatori, nemmeno dall’ENTE. Serve però poi un database con una strutturazione particolate per registrare e relazionare tutti i profili. Questi sono strumenti abituali e già esistenti e sviluppabili con ausilio di Università o società specializzate del settore zootecnico.
Senza considerare che con una strutturazione di questo tipo oltre ad ottenere le stime di consanguineità degli ipotetici accoppiamenti, si avrebbe automaticamente la parentela tra tutti i cani, quindi la parola definitiva alla fine delle frodi ai libri origine. Oltre a questo, i dati grezzi ottenuti dal Chip e relazionati a un database di popolazione permetterebbero, in associazione a raccolta di dati su malattie e tumori, di fare ogni tipo si studio di associazione, e mappare i fattori di rischio.
Quindi in conclusione, se la risposta alla problematica della consanguineità la si attende dalla tecnologia genomica, ebbene non c’è alcuno sviluppo tecnologico da attendere. Questa tecnologia è lì già da dieci anni. Basta decidersi e strutturare il libro genealogico e le norme tecniche al fine di operare questa rivoluzione. Analogamente e molto più semplicemente per il calcolo classico (matematico) della consanguineità è tutto già esistente, basta decidersi a farlo. Alla luce di questo, la presa di coscienza del tema della consanguineità e della variabilità genetica a fronte di voltare la testa in direzione opposta alle soluzioni che sono già esistenti ed applicabili, è qualcosa che lascia davvero sgomenti e senza parole.
Alessio Camatta
WGI project
Articolo inserito il 05/06/2023