Conferma definitiva della Mielopatia Degenerativa del Cane Lupo Cecoslovacco

Presentato dal prof. Gandini e Galc2 il caso di Elvys, il primo CLC con diagnosi autoptica

Conferma definitiva della Mielopatia Degenerativa del Cane Lupo Cecoslovacco

Cari amici, 
torniamo ancora sull’argomento Mielopatia Degenerativa a quasi sei anni di distanza, quando si cominciò a parlarne alla fine del 2009 sul forum di wolfdog.org, grazie all’allevatrice olandese Mijke Van Heyningen che portò all’attenzione di tutti la morte della femmina Justine Altoi de Louba Tar con diagnosi di DM e il test genetico che evidenziava l’omozigosi (DM/DM) per una mutazione ritenuta strettamente correlata alla malattia. Fatto che allora era una novità assoluta dopo decenni di studi e teorie infruttuose sulla Mielopatia Degenerativa.
Dopo qualche mese testai la mia prima fattrice e a ruota diversi allevatori fecero lo stesso con i propri cani e si scoprì che Crying Wolf Forrest di Alessandra era positivo al test (DM/DM) e poco dopo cominciò a manifestare sintomi compatibili. L’iter diagnostico confermava la diagnosi di Mielopatia Degenerativa. Con l’opera di divulgazione di questo caso la questione Mielopatia Degenerativa è balzata all’attenzione di tutto il mondo del Cane Lupo Cecoslovacco in Italia e non solo.

In questi sei anni si è discusso molto, tra scetticismi vari, all’inizio anche comprensibili poiché nel 2010 pochissimi veterinari erano aggiornati sulle allora recenti scoperte pubblicate dalla Prof. Joan Coates. Ma con il passare del tempo, nonostante certe evidenze emergessero chiare, alcune posizioni scettiche, altre addirittura negazioniste, altre tendenti a minimizzare la rilevanza della DM sono sopravvissute fino a oggi. Esse si reggevano per la maggiore sul fatto che non esistesse menzione in letteratura scientifica, di nessun caso comprovato da esame autoptico dopo la morte.

Senza voler sminuire il valore scientifico e definitivo di diagnosi dell’esame autoptico , abbiamo spiegato più e più volte come non fosse necessaria questa prova per essere coscienziosi e rendersi conto che il problema DM esisteva nel Cane Lupo Cecoslovacco, come ebbi modo di spiegare in questo articolo. Recentemente (fine 2015) anche questa pubblicazione scientifica citava la DM come malattia del CLC nonostante la mancanza della prova definitiva (scimuniti pure loro?). Ma più di qualcuno ha continuato a sostenere che la malattia non esiste, o che se esiste è rarissima, che i test non funzionano, che il genoma del cane cambia come noi ci cambiamo le mutande e chi ne ha più ne metta, potrei veramente scrivere un libriccino con tutte le scemenze che ho sentito in questi sei anni. Il tutto basandosi su teorie strampalate o nel migliore dei casi su tendenziose interpretazioni della letteratura, senza scendere nel campo pratico del CLC, dove da sei anni, da diverse parti, si stanno raccogliendo dati e cercando di approfondire per dipanare i dubbi e le perplessità che giustamente potevano sorgere.

Domenica 10 gennaio si è svolto nei pressi di Ferrara un incontro, il quarto, sulla Mielopatia Degenerativa nel CLC con relatori il noto professore di Neurologia Veterinaria Gualtiero Gandini, e il Genetista dell’Università di Bologna Fabio Gentilini. Sono intervenuto anche io in qualità di portavoce del lavoro di CLC-Italia.it nel raccogliere dati sui test DM, elaborarli in statistiche e renderli disponibili ad enti scientifici.

Ma l’intervento più importante è stato quello di Titti Riina, una persona semplice e umile che con un atto di coraggio non da tutti ci ha permesso di fissare un punto fermo in questa vicenda. Titti è una proprietaria di CLC come tutti noi, che ha condiviso con alcuni la sofferenza di vedere nel proprio cane insorgere, striscianti e inesorabili, i sintomi di questa tremenda e irreversibile malattia. Ha vissuto sulla propria pelle quello che la maggior parte di noi ha colto solo in fugaci attimi guardando i video di Forrest o di Kenai.

In questi anni diversi proprietari come lei si sono trovati nella posizione di poter scegliere di “donare” il proprio peloso alla scienza. Non è una scelta facile, non tutti sono in grado di farlo, di essere razionali in quel momento. E’ sicuramente una questione che trova origine nei più profondi recessi del proprio animo, del modo di vivere il dolore e la tragedia.
Titti Riina è stata in grado, o era predisposta se piace di più, a vivere il proprio dolore con raziocinio ma soprattutto a trovare nel dolore anche la propensione ad un gesto di grande altruismo. Affidandosi all'associazione Galc2 e ad Alessandra Bonfiglioli che li hanno seguiti passo passo, nel momento di porre fine al progressivo spegnimento del sistema nervoso del suo Elvyys, ha deciso di donarlo alla scienza, di donarlo ai posteri affinché con il suo sacrificio si potesse magari evitare quello strazio a qualcun altro.

 Nel mese di ottobre scorso Elvyys è stato consegnato al Dipartimento di  Anatomia Patologica della facoltà di Veterinaria di Bologna.  L’associazione Galc2 si è presa carico di patrocinare questa importante  operazione, coordinando e facendosi carico di tutti gli oneri.Tutti gli  esami necessari sono stati espletati e il referto emesso il 13 Novembre  ha dato diagnosi definitiva di Mielopatia Degenerativa. (referto originale  PDF)

 

Quindi abbiamo raggiunto un punto zero. Il punto in cui tutte le chiacchiere inutili di sei anni sono ora messe a tacere. La Mielopatia Degenerativa è oltre qualsivoglia dubbio, dimostrata scientificamente come malattia che colpisce il CLC.

In occasione dell’incontro di domenica il professor Gandini ha inoltre annunciato l’imminente pubblicazione di una tesi di laurea sulla DM nel CLC alla quale CLC.Italia collabora come fonte di dati statistici; lavoro che fornirà un ulteriore punto fermo sulla diffusione della mutazione nella popolazione italiana del CLC, e nello stesso lavoro il caso di Elvyys verrà riportato con l’importanza della prova diagnostica post-mortem.



Il genetista Fabio Gentilini con un intervento non semplice ma oltremodo necessario, ha fugato tutti i dubbi che persistono tutt’oggi in certi ambienti sulla correlazione tra gene mutato e patologia clinica.
Ha poi spiegato tutte le possibili cause tra incongruenze ed errori nel test, facendo l’importante distinguo tra errori metodici (di laboratorio e lavorazione) e quelli sistemici dovuti alla tecnica del test.

 

Preziose le sue indicazioni, più volte anche da noi espresse, di non basarsi mai su risultati dedotti dai test dei genitori, al fine di avere sempre il controllo di possibili errori e soprattutto di non escludere nessun soggetto dalla riproduzione, anche i DM/DM, e di procedere solo ad accoppiamenti che non producano soggetti a rischio.
Voler eradicare una mutazione con una frequenza come quella DM nel CLC, spiega il professore, è impossibile se non a scapito di una perdita di variabilità genetica che con certezza farà emergere problemi legati ad altri geni recessivi e deleteri.
Quindi la volontà di produrre n/n come obiettivo di selezione è da un punto di vista pratico e tecnico una condotta priva di motivazioni e certamente controproducente. La raccomandazione è quella di continuare ad allevare secondo i nostri normali parametri morfologici, di carattere e in relazione alla DM l’unica cosa da fare è evitare combinazioni di riproduttori che possono produrre dei DM/DM.

Infine in merito alle statistiche di CLC-Italia, abbiamo appurato che prima del 2010, anno in cui si è cominciato a selezionare gli accoppiamenti, la frequenza allelica del gene mutato era intorno al 24% , che si traduceva in una frequenza di cani DM/DM e predisposti alla malattia del 6% circa della popolazione.
In Italia nel 2014 almeno il 42% delle cucciolate erano provenienti da genitori testati secondo le certificazioni fornite a CLC-Italia. Considerando che non tutti mandano le certificazioni al nostro database possiamo supporre che ormai in Italia il 50-60% delle cucciolate è al riparo dai rischi connessi alla DM.
Credo che questo dato vada interpretato positivamente, la pressione selettiva sulla frequenza allelica del gene mutato è sicuramente alta quando metà della popolazione non accoppia casualmente. Questa pressione influisce indirettamente anche sugli accoppiamenti casuali  fatti senza test nelle generazioni future. Sicuramente non bisogna accontentarsi e cercare sempre di più di informare e fornire le conoscenze affinché si testino i riproduttori.

La grande domanda, ora che nessuno può negare l’esistenza della malattia, sicuramente è: “quanto è realmente diffusa la patologia clinica nei DM/DM visto e appurato che non è necessariamente detto che si ammalino?”

Risposte originate dal rigore scientifico non ce ne sono allo stato attuale. Ma possiamo noi, che viviamo la razza quotidianamente, attendere sempre i responsi scientifici quando abbiamo delle situazioni valutabili sotto gli occhi? Io sono dell’opinione che no, non possiamo stare alla letteratura scientifica (pur rispettandola) quando è generica e non possiamo attendere essa quando possiamo cominciare ad osservare le cose nel campo pratico. Se dovessimo aver seguito il rigore scientifico fino in fondo avremmo dovuto aspettare il sacrificio di Elvyys prima di usare i test in riproduzione. Pensate che disastro…

Dai dati da me raccolti, che non sono da considerare ancora scientifici ma puramente empirici, sui 26 soggetti DM/DM che hanno più di 8 anni, i cani che si possono considerare affetti (diagnosi di esclusione con Risonanza Magnetica o diagnosi autoptica) sono 7, circa il 25%, altrettanti sono morti con sintomi simili ma non è possibile considerarli affetti per insufficienza di iter diagnostico. Calcolando solo i 7 con diagnosi quindi, una prima indicazione, un primo dato grezzo mi dice che il 25% dei DM/DM conosciuti ha sviluppato con certezza la malattia. Se consideriamo che prima del test i DM/DM erano il 6% circa della popolazione (due campioni uno di 800, un'altro differente di quasi 1000 soggetti indicano questa frequenza genotipica), possiamo supporre empiricamente e senza pretesa alcuna di ergerci a fonte scientifica, che la patologia poteva colpire 1 o 1,5% della popolazione. Purtroppo da questi dati la situazione sembra ben più seria a dispetto di quella che è la definizione scientifica che designa in termini generali del cane, la DM come malattia rara che colpisce un soggetto su 2000. Questo perché ci sono delle specificità di razza, alcune come il Jack Russel,  affetto dal gene ma in cui non c’è traccia della patologia, mentre nel Pastore Tedesco diffusione del gene e malattia sono molto diffuse.

Molto ancora c'è da fare, ma questo che riportiamo oggi è punto fermo, una linea di demarcazione netta. I campioni biologici di Elvyys sono in Università di Bologna e sotto il patrocinio del Galc2 sarà possibile effettuare ulteriori indagini, soprattutto sulle specificità di razza, e sugli aspetti più oscuri della malattia, come l'insorgenza.

Alessio Camatta


Articolo inserito il 11/01/2016